Foto

Ciao Rombo!

 

di Filippo Gherardi

 

Doriano Romboni avrebbe compiuto quarantacinque anni il prossimo 8 dicembre. Quarantacinque anni vissuti per lo più in sella ad una moto, quarantacinque anni passati a rincorrere (e soddisfare) una passione che viene da dentro e che da dentro difficilmente riesce a sparire. Doriano Romboni ha perso la vita lo scorso 30 novembre, tra le curve del circuito del Sagittario a Latina, durante la due giorni in memoria di Marco Simoncelli. E come è successo anche a Marco Simoncelli, quel maledetto 23 ottobre di due anni fa, e dopo di lui ad Andrea Antonelli, il 21 luglio dell’ultima estate, anche Doriano Romboni ha finito la sua corsa più importante sotto le ruote di un collega, di un compagno, che sopraggiungeva con la mano schiacciata sull’acceleratore ed il corpo in simbiosi con la propria moto. Valentino Rossi, Colin Edwards, Lorenzo Zanetti ed ora Gianluca Vizziello, una lista di involontari protagonisti di un destino difficile da valutare. Difficile, impossibile, è anche immaginare cosa si prova, come ci si sente schiacciati da una passione che finisce col diventare un fardello nel momento in cui il destino si mette di traverso, come succede in una qualsiasi staccata. E quante staccate, nella sua carriera, Doriano Romboni ha vissuto fino all’ultimissimo istante, sfidando in giro per il mondo i centauri (anche e soprattutto italiani) che negli anni novanta dominavano la scena del motomondiale. Centodue gran premi disputati tra 125, 250 e 500, sei vinti (2 in 125 e 4 in 250 ndr) ed un totale di ventidue podi complessivi messi in bacheca. Sette anni trascorsi alla Honda, prima del salto in 500 al volante dell’Aprilia. Un quarto posto nel 1994, in classe 250, come miglior piazzamento in un mondiale, alle spalle di amici-nemici con Max Biaggi e Loris Capirossi. Doriano Romboni e il suo talento hanno sempre viaggiato a ritmo costante, senza farsi schiacciare dalle pressioni e distrarre dalle copertine che una generazione di campioni stava cominciando via via a catturare. Doriano Romboni, semplicemente “Rombo” per tutti, lascia una moglie, tre bambine, tanti ricordi e molti amici. Li lascia in sella ad una moto, nel modo più crudele per chi, come nel suo caso, era riuscito a rendere una passione la sua vita.

SBK

SBK, quante sorprese a Silverstone

 

di Filippo Gherardi

 

Nona tappa stagionale, a Silvertsone, per il mondiale Superbike. Si torna in pista dopo il week end, tragico, del Gp di Mosca che ha visto la morte di Andrea Antonelli nella categoria Supersport. Si parte dalla giornata di sabato e dalla Superpole che è andata, per la prima volta in questa stagione, all’irlandese dell’Aprilia Eugene Laverty, poi però, nel corso delle due gare domenicali, la musica è cambiata per la scuderia italiana. In Gara 1 vittoria, anche in questo caso la prima stagionale oltre che l’undicesima in carriera, per il britannico di casa Honda Jonathan Rea, davanti proprio ad Eugene Laverty e ad un altro pilota britannico: Leon Camier del Team Suzuki. Quarto posto per Sylvain Guintoli, nono per Marco Melandri e soltanto undicesimo per Tom Sykes. Gara 1 pesantemente condizionata dalle condizioni, variabili, del tempo, lo stesso che sembra stabilizzarsi in prossimità dell’inizio di Gara 2. In questo caso a trionfare è il centauro transalpino Loris Baz della Kawasaki (che dedica il successo proprio al compianto Antonelli ndr), davanti al connazionale Jules Cluzel su Suzuki. Completa il podio ancora una volta Eugene Laverty, tutto sommato il migliore dei “top drive” nel week end di Silverstone. Quarto il vincitore di Gara 1 Jonathan Rea, davanti a Leon Camier e Sylvain Guintoli. Delude ancora il beniamino di casa Tom Sykes, settimo, così come Marco Melandri, nono anche in Gara 2. Nella classifica mondiale Guintoli si conferma in testa con 262 punti, secondo Sykes a 249, terzo Laverty a 226 e quarto Melandri a 221.

Editoriale

Andrea e gli altri

 

di Filippo Gherardi

 

Andrea Antonelli avrebbe compiuto ventisei anni il prossimo gennaio, sognava un futuro tra i big, almeno della Superbike, prima che il destino interrompesse bruscamente la sua corsa sull’asfalto, bagnato, del Moscow Raceway. L’ennesima tragedia di un universo, quello dei motori, bello, adrenalinico ma anche contraddittorio e pericoloso. Antonelli come Jarno Saarinen e Renzo Pasolini nel 1973, primi nomi di un elenco destinato a rimanere per forza di cose un’eredità pesantissima nella memoria e nel ricordo di tutti. A loro si aggiunsero per quel che riguarda le moto, con gli anni e tra gli altri, anche Noboyuki Wakai, Daijiro Kato e Marco Simoncelli. I numeri purtroppo non calano, anzi aumentano se possibile, rivolgendo uno sguardo anche alle quattro ruote e più nello specifico alla Formula 1. Una lunga lista di tragedie cominciate nel 1953 con Chet Miller alla 500miglia di Indianapolis, e che arriva fino al “divino” Ayrton Senna e al suo schianto alla curva del Tamburello datato 1994. Nel mezzo un totale di ventinove nomi, tra cui quello di Gilles Villeneuve ma anche dei nostri Luigi Musso, Lorenzo Bandini e Riccardo Paletti, che raccontano storie e sogni infranti, nascondendo tragedie e tanti interrogativi. Nelle ultime settimane la morte è tornata grande protagonista sulle pagine e nei commenti di chi, come noi, racconta innanzitutto una passione. Il 23 giugno Allan Simonsen perde la vita, oltre che il controllo della sua Aston Martin, in prossimità della curva Tertre Rouge nel corso della 24Ore di Le Mans. Una settimana dopo è la volta di Andrea Mamè, 41enne pilota milanese coinvolto in un incidente fatale nel corso del primo giro del Super Trofeo Blancpain Lamborghini. Altri sette giorni ancora e la stessa sorte è toccata, lo scorso 8 luglio, a Maurizio Zucchetti, 52 anni, deceduto nel corso della tappa di San Severino Marche del campionato italiano di motorally, investito dalla sua stessa moto che si è ribaltata in salita, schiacciato da quella voglia di sentirsi ancora più veloce degli altri che non conosce limiti o età. Andrea Antonelli è solo l’ultimo di una lista di campioni, o aspiranti tali, macchiata dal sangue ancor prima che dalle polemiche. Le interpretazioni approssimative di un regolamento che scandisce istanti e frammenti della vita di ciascun pilota lasciano, inevitabilmente ed ogni volta, spazio al silenzio e al dolore. Ha ragione Melandri a richiedere maggior attenzione e cura delle norme di sicurezza. Non è facile impedire al destino di fare il suo corso, ma in alcuni casi vorremmo convincerci che qualcuno, forse, potrebbe anche provarci.