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Honda: ecco “Hato Sablé”, minivan elettrico

 

di Stefano Ursi

 

Arriva dall’Oriente un altro esempio di come possiamo fondere le nuove tecnologie con le esigenze professionali e umane legate alla quotidianità della vita e del lavoro. E il modello di cui andremo a parlare nelle prossime righe lascia spazio alla comprensione di come non sia necessario realizzare grandi strutture per imprimere impulsi al futuro di un comparto. La forma di un biscotto non deve ingannare perchè la funzione è seria e promette di guadagnarsi uno spazio fra le idee ad emissioni zero che in questi anni emergono nel mondo, relativamente al trasporto su gomma. E nonostante sia stato ideato per trasportare dolci a domicilio a Tokyo, “Hato Sablé” è un piccolo concentrato di futuro a tutto tondo visto che, tanto per iniziare i pezzi di questo furgoncino alimentato elettricamente ideato da Honda e Kabuku Inc. sono stati realizzati con una stampante 3D e non è poco visto che da tempo si parla di questa tecnologia innovativa di produzione di materiali ma ancora non riesce a decollare in tutta la sua futuribilità a livello di uso quotidiano e comune di mezzi di trasporto. Due metri e mezzo di lunghezza per un metro e trenta di altezza e seicento kg di peso, Hato Sablé è un piccolo concentrato di tecnologia e di rispetto per l’ambiente oltre che di innovative idee di trasporto merci; quasi tutto il suo spazio infatti è destinato a caricare merce (in questo caso i dolci della Toshimaya Corp. dai cui biscotti prende la forma) e a bordo c’è posto solo per il conducente che dovrà effettuare la consegna. Per quanto riguarda l’alimentazione, Hato Sablé è dotato batterie che impiegano dalle 3 alle 7 ore per ricaricarsi e di un propulsore da 11 kW montato su un telaio ultraleggero che riesce a portarlo fino alla velocità di 70 km/h, con una capacità di percorrenza di 80 km ad emissioni zero. Per ora questo minivan ad alimentazione elettrica, con pezzi realizzati tramite stampante 3D verrà utilizzato solamente per le vie di Tokyo al fine di consegnare a domicilio delle merci ma nulla vieta che in futuro questa idea possa attecchire per tutti i trasporti e le consegne su piccola scala nelle città, tali da non dover effettuare spostamenti lunghissimi e in grado di ricaricarsi ogni uno o due viaggi ma sempre rimanendo nel totale rispetto dell’ambiente producendo emissioni zero e facendo, contestualmente, rifiatare le città ormai sempre più inquinate.

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High Tech: dalla Cina arriva il “mega bus” sopraelevato

 

di Stefano Ursi

 

Se un giorno, mentre siete in auto, vedeste sopra la vostra testa un autobus a forma di tunnel che vi sorpassa carico di persone evitate di strombazzare all’impazzata con il clacson, perché sarete stati sorpassati da quello che potrebbe essere il futuro del trasporto pubblico. Per ora in Cina, dove l’azienda Transit Explore Bus ha messo a punto un modello di autobus che non passa accanto alle auto nel traffico quotidiano ma sopra: è il mega bus sopraelevato presentato pochi giorni fa all’High-Tech Expo di Pechino. Un ponte-mobile largo circa 60 metri ad alimentazione elettrica, circolante su rotaie poste alle estremità della strada, che l’azienda dice capace di trasportare circa 1200/1400 passeggeri per volta sopra la testa degli automobilisti riducendo così non solo l’annoso problema del trasporto pubblico su gomma ma anche quello dell’inquinamento atmosferico. Stando a quanto ha dichiarato la Transit Explore Bus entro il mese di luglio di quest’anno dovrebbero iniziare le prove e i test su strada nella Cina del nord. I costi, sempre secondo le stime della società sarebbero di molto inferiori a quelli per la costruzione di una metropolitana e permetterebbero di risparmiare molto anche in relazione alla realizzazione di una flotta di odierni autobus per trasporto pubblico. L’idea e il progetto sono in sé interessanti e pongono l’attenzione sulla possibilità di passare non in mezzo o di lato alle auto, come oggi accade con le corsie preferenziali delle grandi città oppure sotto con le metropolitane, bensì sopra sfruttando la sopraelevazione di un grosso ponte mobile che viaggia di pari passo con la carreggiata; gli interrogativi sono però di non poco rilievo. In primis la conformazione morfologica delle reti viarie delle città europee (e italiane in particolare), poi la sicurezza degli impianti e la stabilità delle infrastrutture esistenti che non sono state progettate negli anni per questo scopo. Insomma, nonostante novità come queste necessitino di essere testate a fondo in diversi panorami urbani e a differenti condizioni di traffico e ambientali, l’idea potrebbe essere presa a modello per innovare e studiare soluzioni alternative all’odierno trasporto pubblico su gomma. Ma rimane sempre l’annoso problema di un piano globale integrato che preveda, al di là delle novità tecnologiche e futuristiche, il decentramento urbano e il sempre più avanzato utilizzo di vetture ad alimentazione eco sostenibile.

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Waze mette in pericolo…gli agenti di polizia?

 

di Flavio Grisoli

 

Waze, la app creata per fornire agli utenti informazioni in tempo reale sullo stato del traffico (fornite dagli utilizzatori stessi) è finita sotto la lente d’ingrandimento della polizia americana. Sì perché questa applicazione, acquistata da Google nel 2013, permette di situare in un determinato punto la posizione di una pattuglia della polizia. Opportunità che funge principalmente da deterrente per molti incauti alla guida ma che, secondo Charlie Beck (capo della polizia di Los Angeles), compromette la sicurezza degli agenti stessi. Beck ha fatto notare che nei giorni precedenti l’uccisione dei due agenti di polizia Rafael Ramos e Wenjian Liu il 20 dicembre, l’assassino aveva utilizzato Waze per monitorare gli spostamenti dei poliziotti. La risposta di Waze non si è fatta attendere: in un comunicato, la portavoce Julie Mossler ha dichiarato che la app è attualmente in uso presso molte istituzioni, anche di pubblica sicurezza. “Siamo sempre molto attenti alla sicurezza e lavoriamo in sinergia con molti dipartimenti di polizia, fra cui quello di New York e diversi dipartimenti dei trasporti in tutto il mondo – si legge nella nota – per aiutare le municipalità a capire meglio cosa accade nelle loro città in tempo reale. In questo modo i cittadini sono più sicuri e si evitano congestioni nel traffico. I nostri partner della polizia sostengono la possibilità di riportare la loro posizione sulla strada, perché molti automobilisti guidano più attentamente quando sanno che le forze di polizia sono nelle vicinanze”. Poi, Beck aggiunge che c’è unicamente la possibilità di segnalare attraverso un’icona sulla mappa la posizione della polizia con uno scarto di qualche decina di metri, e non invece di tracciare spostamenti o la posizione esatta della pattuglia.

Un'immagine del Planet Solar

Mare e sole: coppia vincente

 

di Flavio Grisoli

 

La più grande barca solare del mondo è sbarcata a Venezia giovedì 4 settembre. “PlanetSolar”, così è stato battezzato questo imponente catamarano, che ha una particolarità non indifferente: è completamente “verde”. Su tutti i suoi 35 metri di lunghezza sono stati installati ben 512 metri quadrati di pannelli fotovoltaici che forniscono l’energia ad una coppia di motori elettrici che sviluppano 120 kW di potenza. Il tutto a zero emissioni di CO2. Due anni e mezzo fa la “PlanetSolar” completava il giro del mondo dopo 584 giorni di navigazione e oltre 60mila chilometri percorsi. L’imbarcazione, di ideazione svizzera e realizzazione tedesca (non proprio Paesi dalla tradizione marinaresca…) è costata 15 milioni di dollari, ma non ha come obiettivo solo quello di dimostrare che la mobilità sostenibile non è qualcosa di irrealizzabile anche per progetti di grandi dimensioni, ma anche quello di portare avanti studi oceanografici molto complessi. Infatti, grazie alla sua totale silenziosità e all’assenza di emissioni, può permettere agli scienziati che ospita di capire fenomeni particolari molto meglio rispetto a qualsiasi altra imbarcazione ad alimentazione “consueta”, perché non interferisce con l’ambiente circostante. I più scettici potrebbero avanzare dubbi sulla autonomia complessiva del catamarano. “Se non c’è il sole?” Risponde Pascal Goulpié, responsabile del progetto: «Si carica anche quando il cielo è nuvoloso – i pannelli fotovoltaici non hanno bisogno della luce diretta del sole, ma solo di un livello minimo di intensità luminosa – ma anche qualora il Sole si spegnesse, potremmo andare avanti per 72 ore di seguito». Le batterie a bordo della “PlanetSolar” possono infatti immagazzinare fino ad 1 MegaWatt di energia. Ora l’imbarcazione è arrivata a Venezia, dove rimarrà per i prossimi sei mesi. Sarà possibile visitarla e saranno organizzati dei brevi viaggi.

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Veicoli auto-guidati: un piccolo stop

 

di Flavio Grisoli

 

Sappiamo che da molto tempo Google è duramente al lavoro per sviluppare vetture auto-guidate, ma negli scorsi giorni è stata resa nota una decisione che potrebbe rallentare significativamente il progetto del colosso di Mountain View. Il California Department of Motor Vehicles (possiamo definirla la nostra Motorizzazione Civile) ha infatti emesso una regola che prevede che un pilota deve essere in grado di prendere il controllo fisico immediato di un veicolo, costringendo così tutti i costruttori e progettatori di veicoli auto-guidati ad inserire un volante e un sistema di freni a pedale. A maggio Google aveva presentato il proprio modello di auto a guida automatica: un piccolo prototipo a due posti, simile ad una Smart, con un frontale molto divertente che sembra riportare uno Smile. A partire da metà settembre, comunque, la norma diramata dal Dipartimento sui veicoli a motore, sarà obbligatoria. «Durante i nostri test stiamo attrezzando i veicoli con volante, freno e acceleratore – ha commentato un portavoce di Google – così i nostri piloti potranno testare le caratteristiche di auto-guida pur avendo la possibilità, in casi di emergenza, di prendere il controllo del veicolo». I test su strade private inizieranno nel mese prossimo, in prototipi che monteranno i comandi manuali di sicurezza. C’è comunque molta fiducia nel progetto a Mountain View: quando il  co-fondatore Sergey Brin ha presentato i prototipi in maggio, ha detto che l’obiettivo del progetto di veicoli auto-guidati è di essere “significativamente” più sicuro di quelli “tradizionali” in pochi anni. Le macchine ad una velocità massima di 25 miglia all’ora. Brin ha poi aggiunto, ultimamente, che i veicoli non sono mai stati protagonisti di incidenti di nessun tipo finora. Questo grande progetto di Google è solo uno dei tanti, che sono soliti chiamare “colpi di luna” (“moon-shots”). Altri progetti provenienti dalla divisione sperimentale dell’azienda, chiamata Google X, includono il dispositivo Google Glass, e un progetto chiamato Loon, che mira a portare la connessione Wi-Fi in regioni non raggiungibili via palloni aerostatici.

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Smartphone di lusso a firma inglese

 

di Flavio Grisoli

 

Ormai, nel corso degli ultimi anni il giro d’affari legato agli smartphone ha raggiunto numeri impressionanti, da quelli più economici ad altri decisamente stravaganti e alla portata di poche, fortunate, tasche. Proprio per quest’ultima fascia di pubblico è dedicato il pezzo di oggi. Se è vero che il mercato del lusso non conosce mai flessioni (forse è l’unica legge economica che non ammette smentite nel mondo reale), allora la prossima commercializzazione dello smartphone costruito (nel vero senso della parola, tra poco capirete perché) dal produttore Vertu in collaborazione con Bentley farà al caso vostro. Bentley, gli amanti delle auto, lo conoscono tutti; vale la pena invece spendere due righe per Vertu. Fondata nel 1998 dal designer della Nokia Frank Nuovo, la società ha fatto informalmente parte della Nokia per permettere al brand svedese di entrare nel settore del lusso fino alla sua vendita. I cellulari sono prodotti a mano da un singolo artigiano, che precedentemente è stato istruito nella “Vertu Training School” per un anno. I materiali utilizzati sono pregiatissimi: struttura in ceramica e titanio; cuscinetti in rubino e circuito in oro e palladio; le rifiniture sono in pelle primo fiore, acciaio, oro, pietre preziose e fibre di carbonio. Le viti utilizzate sono le stesse utilizzate per la fabbricazione degli orologi svizzeri. Il vetro del display è in cristallo zaffiro, a prova di scalfitura. Sono talmente resistenti che nel 2005 un cellulare Vertu è stato sottoposto al passaggio di un’automobile, rimanendo intatto. Per quanto riguarda la collaborazione con Bentley (non è la prima con una casa automobilistica per Vertu, perché nel 2007 ne aveva instaurata una con Ferrari per festeggiare il 60esimo anniversario del Cavallino) si sa molto poco al momento. Il primo smartphone di questa collaborazione quinquennale dovrebbe essere realizzato, dal punto di vista del software, su piattaforma Android; non si sa altro su caratteristiche tecniche come peso, capacità di storage e quant’altro. La commercializzazione partirà ad ottobre e il prezzo base dovrebbe aggirarsi sui 6000 Euro. Vi sembra tanto? Non sono niente in confronto ad un Vertu “Cobra Signature” in edizione limitata. Il costo? 213mila sterline (circa 241mila Euro).

Cartellone pubblicitario della SABIC

A ruota libera

 

di Flavio Grisoli

 

Il futuro dell’impatto al suolo delle nostre autovetture presto potrebbe chiamarsi Ultem. Si tratta di una resina speciale prodotta dall’azienda petrolchimica Sabic in collaborazione con Kringlan. Sabic è una delle più grandi industrie del settore al mondo ed è stata creata negli anni ’70 per regio decreto in Arabia Saudita, che ne possiede il 70%. Presidente è il principe Prince Saud bin Abdullah bin Thunayan Al-Saud. Il quartier generale è a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. Tornando al prodotto, Ultem è una resina composita di carbonio/termoplastica ed è, tecnicamente, un amorfo polieterimide termoplastica. Come caratteristiche ha un’elevatissima resistenza e rigidità, ad altissime temperature e agli agenti chimici. Questo nuovo materiale andrà ben presto a rimpiazzare il metallo e l’alluminio attualmente in uso per la produzione di tutte le ruote delle autovetture in circolazione. Non ci sono solo motivazioni ingegneristiche, anche se potremmo elencare molte altre caratteristiche (temperatura di transizione vetrosa a 217°, intrinseca resistenza alla fiamma con un LOI del 47%, generando comunque un fumo non più denso e dannoso di quello del legno), di certo quello che potrebbe interessare maggiormente i lettori è che questo materiale è estremamente leggero. Cosa significa questo? Che la vettura pesa meno, di conseguenza consuma meno carburante e quindi inquina anche meno. Circa il 2-3% di emissioni di CO2 in meno rispetto ad auto che montano ruote in materiali tradizionali. Naturalmente questi materiali sono stati sottoposti e hanno superato i test dell’Associazione di Controllo Tecnico tedesca (TüV), per verificare che rispettino gli standard definiti dalle norme vigenti per le ruote metalliche. Fatto questo, ora non resta che attendere che arrivino sul mercato.

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La Mela al volante

 

di Flavio Grisoli

 

Era una delle presentazioni più attese, e in un certo senso non ha tradito le aspettative. Negli scorsi mesi Tim Cook, CEO di Apple, aveva anticipato una nuova funzionalità del nuovo sistema operativo iOS7, che in molti avevano ribattezzato “iOS in the car”. Ovvero la possibilità di avere nella propria macchina, all’interno del proprio sistema di infotainment, le funzionalità di iPhone e iPad. Ora finalmente ne sappiamo un po’ di più: la funzionalità si chiama “CarPlay” e per il momento le case automobilistiche che se ne sono dotate sono Ferrari, Mercedes e Volvo. Quindi i requisiti per poter usufruire sono: una delle macchine sopra elencate, un Iphone (ma solo il 5, visto che il collegamento al dock è con la nuova versione di attacco) o un iPad. Ma in soldoni, cosa succede quando colleghiamo il nostro device alla macchina? In buona sostanza, sul display del sistema di infotainment appare un’interfaccia simile a quella dell’iPhone, con la possibilità di utilizzare solamente le applicazioni utili quando si è in auto (musica, navigatore, lettura dei messaggi, effettuare chiamate). In molti hanno comunque storto la bocca, perché dalle anticipazioni dei mesi scorsi fornite dallo stesso Cook quando presentò iOS7, in molti pensavano a qualcosa di decisamente più incisivo. Invece, e su questo non possiamo che concordare, si tratta della splendida interfaccia e intuitività dei dispositivi Apple all’interno del navigatore della propria auto. Ovviamente questo è solamente il primo passo della casa di Cupertino verso la creazione della tanto invocata “Smart car”. Per il momento, possiamo “accontentarci”, magari, di salire sulla nostra Ferrari FF e comandare al navigatore di portarci a casa.

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Sicurezza è legge

 

di Flavio Grisoli

 

Nei giorni scorsi l’amministrazione Obama, per bocca del segretario ai trasporti Anthony Fox, ha lanciato un segnale importante all’industria automobilistica a stelle e strisce o, se vogliamo, un diktat vero e proprio: tutti i nuovi veicoli dovranno avere come dotazione di bordo il sistema di comunicazione “car-to-car”, cioè quella tecnologia in grado di avvisare il conducente dell’avvicinarsi di un altro mezzo anche se non è nel campo visivo del guidatore. Anche i veicoli da lavoro e i mezzi pesanti sono compresi nel provvedimento di Fox. L’obiettivo del presidente Obama è approntare una legge ad hoc entro la fine del suo secondo ed ultimo mandato alla Casa Bianca, prevista per il gennaio del 2017. Questa improvvisa, ma non del tutto inattesa, accelerazione sotto il punto di vista della sicurezza stradale con i sistemi di comunicazione “vehicle-to-vehicle” deriva dalla sperimentazione portata avanti nel 2012 proprio dal Dipartimento dei Trasporti USA su un campione di 3mila veicoli. Il risultato è stupefacente, perché è dimostrato che questi sistemi evitano circa l’80% delle potenziali collisioni che hanno come coinvolti automobilisti sobri. Sembra tutto perfetto, ma sappiamo che una medaglia ha sempre due facce. Le criticità da risolvere su un sistema controllato attraverso satelliti è facilmente intuibile: la privacy. In molti storcono il naso perché temono che i loro dati su posizione e velocità possano essere resi pubblici. Le case automobilistiche vogliono vederci chiaro e soprattutto avere rassicurazioni dal Dipartimento dei trasporti, anche per evitare denunce da parte degli utenti. Sarà comunque un processo inevitabile, anche perché il numero dei decessi sulle strade statunitensi è sensibilmente aumentato: +1.000 nel 2012 rispetto al 2011 (33.500 in tutto). Un incremento che non ha lasciato indifferenti le autorità di Washington dopo circa un settennato positivo.

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Ibrida indipendente

 

di Flavio Grisoli

 

Da tempo vi stiamo parlando di come le più grandi aziende informatiche stiano focalizzando i propri sforzi e le ingenti risorse economiche di cui dispongono sulle nuove tecnologie da applicare alle automobili. In particolare, proprio perché è il campo in cui stanno maggiormente convergendo gli sforzi dei grandi produttori, ci siamo soffermati più volte sui modelli di auto a guida automatica. Google ha lanciato il suo Gesture Control, cioè comandare le funzioni dell’automobile con dei semplici gesti predefiniti. Altre, magari più semplicemente, hanno dotato le vetture di software in grado di “leggere” la strada e far comportare la nostra macchina di conseguenza. Anche Ford non poteva essere da meno e dopo aver dotato le sue auto con i più sofisticati sistemi di infotainment adesso si butta a capofitto in questo mercato ancora tutto da scoprire. E così il frutto della sinergia con la Michigan University e la compagnia di assicurazioni State Farm crea la Fusion Ibrida a guida automatica. Qui in realtà le novità sono due: oltre ad essere ibrida, quindi con un notevole impatto positivo sulle emissioni, c’è anche la nuova tecnologia di automazione. Si tratta di un prototipo ma la Mondeo (fondamentalmente la gemella europea della Fusion) ibrida arriverà nel Vecchio Continente in autunno. La Fusion Hybrid è stata sviluppata sugli studi effettuati in un ambiente di realtà virtuale sviluppato internamente da Ford. Questo comporterà che nel prossimo futuro le Ford saranno dotate dell’Active Park Assist (il dispositivo che permette di parcheggiare completamente in automatico) e dell’Active City Stop (assistenza di guida nel traffico). Ma nel lungo periodo cosa dovremo aspettarci? Che le auto “comunichino tra di loro” scambiandosi le informazioni relative al proprio tragitto al fine di evitare incidenti. La Fusion Hybrid è dotata di monitoraggio della zona d’ombra, della segnaletica orizzontale e del controllo adattivo della velocità di crociera. Ma come funziona? Sono presenti 4 sensori che utilizzano dei fasci di luce che permettono una scansione 3D dell’area intorno all’automobile in un raggio di 60 metri. La luce emanata permette così ai sensori di creare una mappa virtuale dell’ambiente circostante, compresi pedoni e ciclisti e sono capaci di distinguere un piccolo animale a circa 100 metri di distanza.